GEORGE LAGARDE

INTERVISTA A GEORGE LAGARDE, FOTOGRAFO INTERNAZIONALE

«Cosa ha acceso per la prima volta il tuo interesse per il tuo ambito creativo?»

La fotografia è da sempre presente nella mia vita. Mio padre, Dominique Lagarde, gestiva uno studio fotografico a Chiavari, nel Golfo del Tigullio (Genova). All’età di 9 anni presi in mano per la prima volta una Hasselblad 500C: fu amore a prima vista. Fotografare in analogico, con pellicola formato 6×6, era l’attività più affascinante che potessi sperimentare. Lo studio di mio padre era specializzato in ritrattistica individuale e di famiglia. Mio padre è venuto a mancare quando avevo 13 anni e da allora mi sono posto un obiettivo molto ambizioso: proseguire ciò che faceva lui, ambendo a diventare però uno dei migliori al mondo.

«Come ti rilassi e ti rigeneri dopo le pressioni del lavoro?»

Ho la fortuna di fare il lavoro più bello, dunque la necessità di rigenerarsi nel senso stretto del termine non vi è, ma piuttosto leggendo libri che stimolano idee sempre nuove.

A volte mi capita di prendere l’auto e di raggiungere posti in entroterra ligure ove vi sono spazi per mettersi comodi a leggere e vi è segnale telefonico. Un vero paradiso.

«Da bambino, cosa sognavi di diventare? E quanto si avvicina questo sogno a ciò che fai oggi?»

Da bambino non avevo le idee chiare su cosa volessi diventare, ma l’esempio di chi mi circondava in famiglia è sempre stato un punto di riferimento. Oggi, essere un fotografo apprezzato come lo era mio padre rappresenta per me la più grande vittoria personale.

«Quale progetto della tua carriera ritieni abbia avuto l’impatto maggiore, e perché?»

Più che di progetto parlerei di «filosofia»: scegliere per ogni servizio fotografico la città di Genova, facendo conoscere scorci e angoli del territorio in tutto il mondo attraverso le pubblicazioni su magazine internazionali. Ritengo che Genova, per bellezza e possibilità creative, non abbia nulla da invidiare alle grandi capitali del mondo. Mostrarla ogni volta in modo diverso per me è un onore ed una responsabilità. Questo è il mio progetto/filosofia più appagante.

«In che modo il tuo background culturale influenza la tua vita personale e professionale?» 

«Io non sono uno specchio, io sono un filtro. Il ritratto che io farò di te sei tu, filtrato da quello che sono io (le mie paure, le mie gioie, le mie solitudini, le mie poesie) e poi uscirai sotto forme di interpretazione di te.

Io do la mia lettura, che non è la lettura assoluta: sono il filtro attraverso tutto quello che ho letto, visto, studiato e ti restituisco.»

Con questa celebre citazione del mio maestro GIOVANNI GASTEL affermo che la fotografia è una personale interpretazione di ciò che vede l’artista. Se non fosse così, fotografare si ridurrebbe a una mera e vuota fotocopia del mondo che ci circonda.

«Che consiglio daresti a chi sta iniziando nel tuo campo?»

Il consiglio che vorrei dare a chi inizia o vorrebbe intraprendere questa strada è di puntare tutto su ciò che non fanno gli altri. Fare fotografia significa raccontare visioni di un mondo che spesso non esiste, espressione di pensieri personali e principi interiori all’artista. Lavorando su questo concetto, la vostra unicità emergerà in maniera naturale.

«Hai una filosofia personale o un mantra che guida le tue scelte di vita e di lavoro?»

Per prima cosa, infondo il massimo rispetto per la persona che mi ha scelto: farsi fotografare è sempre un atto di fiducia. In secondo luogo, applico una regola ferrea sul numero di scatti durante un servizio fotografico, ovvero 24, come le pose dei vecchi rullini da 35 mm. Questa regola imprime a ogni singolo scatto importanza e la giusta tensione. In un mondo dove si producono migliaia di foto per salvarne poche, io faccio esattamente l’opposto: 24 fotografie capaci di suscitare meraviglia dalla prima all’ultima.

Concludo menzionando la cura che metto nelle scelte e nei metodi. La mia prima macchina fotografica utilizzata  in studio con mio padre fu l’iconica Hasselblad 500C. All’epoca  i ritratti si stampavano e la fotografia aveva un valore sociale e storico per le famiglie.

Oggi continuo questa tradizione con la Hasselblad X2D 100C, stampando i miei ritratti su carta fine art di qualità Museale, garantita per oltre cento anni. Per me la stampa è l’elemento che completa la fotografia, quella dolce illusione di sconfiggere l’unico vero nemico dell’essere umano, il tempo.

INCONTRO CON LA MODELLA RAISSA FAZACASIU

“Qual è stato il progetto o la situazione più impegnativa della tua carriera, e come l’hai affrontata?”

La situazione più impegnativa della mia carriera è stata scoprire che il mio “manager” abusava delle ragazze, anche se non è successo a me personalmente mi ha toccato molto questo accaduto perché è un comportamento spesso ignorato ma profondamente dannoso. Ti fa sentire in colpa, sbagliato, inutile. 

Ho tagliato subito i rapporti prendendo un’altra strada, cercano di mettere in guardia le persone e sostenere il mio più possibile le vittime.

“Come ti rilassi e ti rigeneri dopo le pressioni del lavoro?”

Dopo giornate intense tra shooting, sfilate, viaggi e impegni, per me è fondamentale ritagliarmi dei momenti solo miei. Mi rilasso ascoltando la musica, staccando completamente dal mondo esterno, mi aiuta a ritrovare l’equilibrio, sia mentale che fisico. 

“Come si è evoluto il tuo processo creativo nel corso della carriera?”

All’inizio della mia carriera vivevo ogni shooting o sfilata come un compito da eseguire: mi focalizzavo nel seguire le indicazioni del team e cercavo di dare il meglio. Andando avanti con il tempo ho iniziato a sentirmi ho iniziato a sentirmi parte del processo e non solo come, ma anche come persona. Riesco a confrontarmi con i fotografi e stylist, cercando di interpretare ogni progetto in modo personale.

“Da bambina, cosa sognavi di diventare? 

Da bambina sognavo di fare qualcosa di creativo: non il solito lavoro, non avevo un’idea precisa però ero sicura che volevo fare una cosa sulle capacità della persona. Mi è capitato diverse volte che mi consigliassero di fare la modella, per il mio aspetto. Volevo capire meglio su questo capo iniziando a guardare le sfilate. Con il tempo ho iniziato ad amare la moda in sé, non solo dalla parte delle sfilate ma proprio dello style, capendo che la modella mi permetteva di unire le due cose.

E quanto si avvicina questo sogno a ciò che fai oggi?”

Penso la risposta sia ovvia, non c’è cosa migliore di rendere felice il bambino che c’è ancora dentro di noi.

“Quale progetto della tua carriera ritieni abbia avuto l’impatto maggiore, e perché?”

Ho fatto molte esperienze in questi anni, mi sono interfacciata con persona da tutto il mondo, ho fronteggiato molti problemi, ho conosciuto tante persone e ho visitato posti nuovi ma nonostante ciò sto ancora aspettato il progetto che mi segni veramente, che mi dia la sicurezza per intraprendere questo viaggio al pieno di me stessa.

“Puoi descrivere una tappa significativa della tua carriera che per te ha avuto un valore particolare?”

Una tappa particolarmente significativa per me è stata la mia prima sfilata a Milano. Ricordo l’emozione dietro le quinte e l’adrenalina. Ero piena di insicurezze, ma quando sono salita in passerella, ho sentito una forza che non sapevo di avere. In quel momento ho capito che i miei sogni stavano prendendo forma.

“Come ti sei adattata ai cambiamenti nel tuo settore nel corso degli anni?”

Come si sa il mondo della moda è in continua evoluzione, negli anni ho imparato a essere flessibile e aperta al cambiamento, ho dovuto lavorare anche sulla mia presenza online, imparando a comunicare la mia immagine sui social con autenticità. Ho imparato a collaborare con team sempre più eterogenei. Evolversi, per me, significa anche restare fedeli a sé stessi.

“Che consiglio daresti a chi sta iniziando nel tuo campo?”

Il consiglio che darei a chi sta iniziando è di avere pazienza e di non scoraggiarsi. In questo settore è facile farsi condizionare, sentirsi inadeguati o avere l’ansia di dover essere ‘perfetti’. Impara a conoscere il tuo corpo, non mancarti mai di rispetto, e soprattutto circondati di persone che ti rispettano. Sii professionale, puntuale e umile.

“Hai una filosofia personale o un mantra che guida le tue scelte di vita e di lavoro?”

Si, non cambiare mai per nessuno perché se qualcuno ti rispetta non cerca da te il cambiamento ma ti rispetta e cerca di metterti in evidenza per quello che sei. Per me, avere dei valori solidi è ciò che rende una carriera autentica, duratura e significativa.

“Come bilanci la tua vita personale e i tuoi bisogni con le responsabilità professionali?”

Non è sempre facile, soprattutto in un lavoro così dinamico e imprevedibile. Spesso ci sono viaggi improvvisi e orari lunghi. Ma proprio per questo ho imparato quanto sia importante creare dei momenti fissi per me stessa, che sia una telefonata con la mia famiglia o una serata tranquilla a casa.  Il vero equilibrio sta nel dare valore sia al lavoro che alla persone che mi circondano quotidianamente senza mischiare le due parti.

by George Lagarde
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